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L'AMANTE
(L'AMANT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 10 marzo 1992
 
di Jean-Jacques Annaud, con Jane March, Tony Lueng (Francia, 1991)
 

"Il cinema sa farsi anche avvenimento mondano. Il regista di La guerra del fuoco, Il nome della rosa, L'orso che mette in scena il best-seller del 1985 di Marguerite Duras è innanzitutto un'operazione di marketing.

Non che Annaud sia uno sprovveduto. È un cineasta che filma in modo impeccabile, uno dei pochi francesi esportabili, qualcuno che ama il rischio e la sfida: mettere in scena la mancanza di parola del mondo degli animali o degli uomini della preistoria, o quello della presenza della parola quando essa è difficilmente visualizzabile. Ognuno segue le strade che vuole: ma il guaio con il cinema di Annaud è che i suoi rischi sono sempre di natura produttiva, prima che espressiva. E che per ovviare a questi rischi egli si faccia scudo soprattutto in quei termini di marketing mondano.

Quando a proposito di L'amante ci raccontano che per scovare la limousine del fascinoso cinese sono andati fino in Sudamerica perché non c'era più una Rolls adeguata a portata di mano, o che hanno girato per tutti i porti del mondo, dal Pireo a Singapore, passando dalla Russia, dall'India e dal Canada per trovare il piroscafo che alla fine riporta in Europa la nostra amante destinata a farsi finalmente scrittrice, oppure ancora che la montatrice ha dovuto scegliere fra 153'864 chilometri di pellicola, non ci spiegano soltanto perché il film sia costato una trentina di milioni di franchi. Ma ci confermano quali siano, per Annaud ed il suo produttore Berry le priorità; soprattutto, ci confermano quanto ogni immagine del film non smette di gridare.

Come ormai saprete ("l'hanno fatto per davvero, oppure non c'è stata penetrazione?") è la storia (autobiografica nel romanzo, anche se probabilmente non proprio a quel modo) dell'amore passionale, sessuale tra una adolescente figlia di coloni francesi (poveri) nell'Indocina degli anni Trenta, ed una specie di playboy (in quanto apparentemente occupato esclusivamente a circolare nella Rolls di cui sopra, fra le risaie attorno a Saigon e con l'autista) cinese, ricchissimo, e promesso ad altre nozze. Una storia, insomma, non solo fondata sull'arte della manipolazione della parola, tipica della Duras. Ma una storia di trasgressione: morale, per l'età della ragazzina, razziale, perché lei è bianca e lui giallo, sociale perché lei è povera e lui proprio no, culturale perché lei è una liberata ante-litteram, e lui è legato alle convenzioni millenarie cinesi.

Come traduce Annaud, tutta questa trasgressione? Con la sfida produttiva di cui sopra, con l'elenco delle difficoltà di un'impresa (compresa quella interminabile di trovare la ragazzina inglese Jane March, ed il cinese imperturbabile o quasi, Tony Lueng: bellissimi, e anche bravi, come due top-model); e con uno pseudo-litigio con la scrittrice, abituata forse ad altro, ma che i suoi soldi se li era comunque presi da Annaud, e dal suo genere di cinema.

La sfida di L'amante non è mai insomma dove dovrebbe essere, dove sempre tutto si crea, e si distrugge: nel suo linguaggio. Quello di Annaud è professionale ed inappuntabile: con tutte le luci, i colori e le inquadrature al loro posto, per dire tutto e senza urtare. Non c'è ombra, se non di perversione, di almeno un po' di quella proclamata trasgressione: in un film gradevole, che non poteva essere solo tale.

Ma forse critico, storico, politico o nostalgico; e magari erotico."


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